Il volume è la storia dell’intreccio fra microstorie personali e storie sociali, movimenti culturali, vicende del mondo politico e della loro reciprocità di rappresentazione, interpretazione, influenza.
E’ attraverso un’approfondita ricostruzione di questo rapporto fra le micro e le macrostorie che il volume disegna gli sviluppi dei modi istituzionali di affrontare il problema della criminalità sotto il profilo delle risposte alle persone autrici di reato; che si interroga (e interroga) sui criteri della loro efficacia; che ricerca (e individua) le strategie più idonee a realizzare coerenza fra problemi e soluzioni, fra obiettivi di sicurezza e di riabilitazione sociale, di benessere individuale e collettivo, di tutela delle soggettività deboli, sia che si tratti di persone che hanno commesso reato, di soggetti a rischio di recidiva, di persone spaventate, quotidianamente preoccupate di poter essere vittimizzate.
La trama risponde a una convinzione che l’autore argomenta fin dalle prime pagine, attraversando la storia delle dottrine sulla penalità e delle teorie interpretative del crimine – a meno che non superi l’impermeabilità dei suoi confini fisici, sociali, simbolici: il carcere non rieduca. Secondo l’autore il carcere dovrebbe operare insieme ad altre istituzioni e servizi per una più ampia formazione alla gestione pacifica, non violenta dei conflitti, alla costruzione delle condizioni che riducano le occasioni stesse del conflitto fra parti sociali.
L’autore, infine, rilancia l’ipotesi di un modello poliprofessionale interno al carcere che raccolga in una sola identità operativa capacità di gestire il quotidiano e visioni di prospettiva che si muovano in direzione dell’inclusione sociale.
ANIME PRIGIONIERE
Percorsi educativi di pedagogia penitenziaria
Antonio Turco
Carocci Faber, Roma, 2011